lunedì 28 settembre 2009

Addio Pet Society!

Non saprei che altra espressione utilizzare se non: libera!
Dopo quasi un anno di totale dipendenza, finalmente mi sono disintossicata dall’applicazione FacebookPet Society”.
Era cominciato per gioco, con la mia amica Vicky che mi invitava a crearmi un animaletto virtuale personalizzato. Non ho esitato a dare vita a Priscilla, una gattina rosa con grandi orecchie e l’aria furba, proprio come la sua omonima reale.
Mi sembrava divertente. Solo poco tempo dopo ho scoperto che potevo sfamarla, lavarla, farla giocare. Fin qui tutto bene. Finché non ho visto loro: i negozi.
Ora, per quei pochi che ancora non l’avessero provato, Pet Society è un gioco molto intuitivo, ha una grafica semplice, ma ben fatta e gli oggetti che puoi acquistare sono veramente realistici.
Quando mi sono iscritta i negozi erano sei, adesso sono molti di più. Fra questi un negozio di vestiti, un alimentari, uno di arredamento e uno chiamato “Luxury”, con tutti gli oggetti più cari. Perché si, attraverso varie attività, il tuo cucciolo virtuale guadagna monete d’oro da spendere e spandere dove meglio crede.
La cosa più accattivante e allo stesso tempo distruttiva (è uno dei motivi che mi ha incatenato a questo gioco…), è che nei negozi di Pet Society puoi trovare veramente di tutto. Dal pianoforte a coda alla Jacuzzi, dal letto a baldacchino a un completino da fata o da cheerleader. Divani sfarzosi, palloncini, ferro da stiro, computer, televisore al plasma, macchina per il caffè. Persino una serie di carta da parati e moquette per riprodurre la location di una spiaggia in una delle stanze.
Assurdo!
Come se questo non bastasse, tutti i lunedì mattina c’è un aggiornamento del programma e vengono aggiunti oggetti sempre nuovi.
Ora immaginatevi me, 22 anni tra una manciata di giorni, intenta a spazzolare una gatta virtuale e arredare una casa come la migliore delle interior designer. Compro tappeti, lampadari, tende, mobili e cuscini. Vado a trovare tutti i miei amici (si, ogni animale ha i suoi amici!) per guadagnare più monete da spendere in altrettanti tappeti, lampadari, tende, mobili e cuscini, in attesa del lunedì mattina. Non potevo fare a meno di accedere almeno un paio di volte al giorno, per assicurarmi che Priscilla fosse pulita, che non le mancasse da mangiare o perché mi ero scordata di comprare quel meraviglioso tavolino da caffè al Forniture.
La follia.
Come ho fatto, allora, a liberarmi dalla tirannia di questi dolcissimi animaletti?
Mi sono bastate due provvidenziali settimane al mare senza computer per perdere completamente interesse nel gioco. Al mio ritorno ho provato più volte a premere la zampetta azzurra e a rientrare, ma mi sembrava noioso, non più così coinvolgente.
Segno che, come al solito, tutto sta solo nella mia testa.
E pensare che da piccola mi sono rifiutata di comprare un Tamagotchi perché lo trovavo un inutile spreco di tempo.
Pubblicità favolosa.
(siamo noi...)

mercoledì 23 settembre 2009

Fujiyama


Basta una serata sedute a un tatami per fare il pieno di endorfine.
Io e G* in un ristorante giapponese, sotto lanterne di carta.
Un kimono appeso alle sue spalle.
È bello vederci combattere con le bacchette di legno, con le mani rattrappite per lo sforzo e l’aria concentrata.
Rido, ripensandoci.
Per non fare bocconi troppo grossi abbiamo chiesto delle posate.
“Come fanno i giapponesi a mangiare tutto intero?”, chiede.
Me lo domando tutt’ora.
“È un peccato che abitiamo così lontane”, penso.
“È un peccato”, fa lei.

martedì 22 settembre 2009

Un giorno una persona mi ha detto che
io sono il ROSA

giovedì 17 settembre 2009

Signorina? Signorino?

Me lo sono sentito dire tante volte: dimostro meno della mia età. E non serve a niente che mia madre mi dica che un giorno “un mi parrà i’ vero” (per tradurre impropriamente dal toscano, ne sarò contenta). Perché non è tanto per il fisico. È il viso che ha mantenuto tratti dolci e delicati. Niente angoli smussati. Gli occhi da cerbiatto.
Come dice sempre la mia amica Viky, da vecchie sembreremo delle bambine con le rughe.
Stavo pensando a questo, ieri sera, mentre guardavo “Il diavolo veste Prada” e sbavavo sulle scarpe, sulle borse e sui cappotti (oh-mio-dio il cappotto bianco!) di quella fortunella di Anne Hathaway. Poi mi sono ricordata di una cosa che mi è successo qualche anno fa. Ero andata nella soleggiata Rimini per assistere ad un contest di hip-hop. Era maggio e più che la danza mi interessava raccogliere i primi raggi dell’estate sdraiata su un lettino. Così mi ritrovai al bar di uno stabilimento balneare.
Al tavolo accanto al mio, due donne sulla cinquantina, le tette gonfie come palloni e la pelle tirata e avvizzita dalle frequenti visite alle Lampados.
Il cameriere si avvicina, pronto a prendere l’ordinazione.
E rivolgendosi alla bionda, o meglio a quella evidentemente finta-bionda: “buongiorno signora, è pronta per ordin…”. Non fa nemmeno in tempo a finire la frase che lei fa, con un’espressione a metà fra lo stizzito e il sensuale: “signorina!”.
Signorina.
Ma come…sembri una Sansweet!
Così, come al solito, mi sono messa a pensare. Questa distinzione signorina-signora dev’essere un residuo dei tempi in cui si era soliti mettere un confine fra la donna non sposata (poverina) e quella ormai felicemente coniugata. Quindi, se a vent’anni avevi marito e figli a carico eri già una signora.
Ma guarda che strano, e io che ho sempre pensato che andasse più in base all’età. Quando, a un campo estivo, un bimbetto mi ha preso per meno e mi ha chiamato signora, mi sono sentita letteralmente gelare il sangue.
“Signora a chi!?”.
E poi come al solito, l’altra faccia della medaglia. Com’è che nessuno si è mai preso la briga di distinguere fra signore-signorino? Un uomo non sposato non è un signorino. È semplicemente se stesso, il signor taldeitali.
Perché per me dev’essere diverso?
Allora spero che mi chiameranno signora quando avrò l’aspetto di quella bambina con le rughe. E se sarò “single” (prima era zitella, per lo meno ora è single) a 70 anni non sarò una signorina.
Sarò io.
Semplicemente Lei.

lunedì 14 settembre 2009

Heart-shaped box

Mi sentivo creativa...


giovedì 10 settembre 2009

Battito

Mi piace sentirmi battere il cuore nel petto. Sentirlo premere contro la pelle, al ritmo dei miei pensieri. A volte basta solo il suono prodotto dai tasti di un pianoforte premuti piano. Per non sentire più niente intorno a te che non sia il suono del tuo respiro.
In estasi.
In silenzio.
È strano alzare le mani verso il soffitto nel tuo letto, gli occhi chiusi, ricordando un’emozione? Non servono parole. Se qualcuno mi avesse visto avrebbe detto che ero pazza. Ben venga. È il cuore che mi guida. Ed è così raro.
Sarebbe come rinunciare a vivere.
Sono due gatti che miagolano sotto la luna. È il primo raggio di sole dopo l’ennesima notte.
Sento che se solo mi muovessi, tutto questo finirebbe. Allora preferisco rimanere immobile, le luci basse. Il profumo del mio balsamo per capelli.

Lei legge

Lei legge:
Sulla strada


"A me piacciono troppe cose e io mi ritrovo sempre confuso e impegolato a correre da una stella cadente all'altra finché non precipito. Questa è la notte e quel che ti combina. Non avevo niente da offrire a nessuno eccetto la mia stessa confusione."


Imperdonabile non averlo letto prima.

lunedì 7 settembre 2009

Sfumature

Quando ero piccola, mia madre mi regalava una meravigliosa scatola di matite colorate ogni anno, quando iniziava la scuola. Erano conservate in una scatola di metallo sottile e rettangolare.
Mi ricordo ancora l’emozione che provavo quando l’aprivo; erano le Ferrari delle matite. Per prima cosa erano tantissime, almeno così mi sembrava. Ogni colore aveva tutta una gamma di belle sfumature. E poi erano tutte perfettamente appuntate.
Semplicemente stupende.
Allora le prendevo e le provavo una ad una su un foglio bianco. Un piccolo arcobaleno di carta. Poi le richiudevo con attenzione, riponendole ognuna al proprio posto e le mettevo in bella vista nella mia camera, in attesa del momento in cui avrei potuto usarle.
Solo che quel momento non arrivava mai. Perché io, allora come adesso, sono una che non colora. Nel senso che si, mi capita di fare dei disegni, ma rimangono sempre spogli. Come quegli album da colorare.
Alle elementari era una tortura. Perché colorare è una dei compiti più gettonati che le maestre affibbiano ai bambini. Ti danno un disegno tutto-linee e ti dicono semplicemente: “coloralo!”.
Uno strazio.
Non sapevo mai come fare. Mi faceva una fatica tremenda. Alla fine avevo trovato un metodo geniale. Appuntare una matita fino a formare una polverina fine fine, per poi spargerla per tutto il disegno con la punta del dito. E mi sentivo anche discretamente creativa. Solo che il risultato era un foglio sbiadito e impiastricciato.
Alla mia maestra non piaceva.
Eppure guardando i disegni delle mie amiche, così vividi, quasi potessero uscire dal foglio, non potevo fare a meno di pensare che c’era qualcosa che non andava in me.
Doveva essere davvero bello colorare!
Ma no, non faceva per me.
Loro coloravano. Io scrivevo.
Non c’è niente che mi piaccia di più del bianco e nero. O meglio, del bianco e grigio lapis. Ma quello delle matite è un ricordo che conservo gelosamente. Quei bastoncini colorati mi hanno fatto capire che non tutti siamo bravi a fare le stesse cose.
Insomma, è inutile che mi illuda di mettermi davanti a un foglio bianco e riuscire a tirare fuori un capolavoro alla Monet.
Un fiasco totale.
D’altronde, il concetto di sfumatura l’ho imparato anche così…

venerdì 4 settembre 2009

notte

Quante volte ho pensato di non potercela fare. E quante ho creduto che la felicità fosse a portata di mano. Certo è che spesso serve davvero poco a farti stare bene. Magari i battiti di una canzone. Il vento sulla pelle. L’odore di salsedine. Se penso a quando mi sono gettata nel mare, in quel buio totale, la mente vacilla. Quel senso di niente, di fronte a una massa nera, senza alcun confine col cielo. Quindi forse è così. Immensità e profondità si confondono. Come nella parte più recondita della testa. E del cuore. Se solo la mente vagasse libera. Se potessi vedere il mondo come lo vedono le aquile. O gli aquiloni. Mi basterebbe. Se salgo su un aereo non vedo che nuvole. E non mi basta.

martedì 1 settembre 2009

Udine, 31 agosto 2009

Poesia pura
Punto